Nella lotta alla violenza di genere c’è bisogno di solidarietà. Questo è uno dei pensieri che Carmen Frana, avvocato familiarista di Como, condivide con noi per reagire insieme alla violenza contro le donne. Ecco la sua riflessione:

“Anche se è difficile crederci, la violenza di genere ha un aspetto ancestrale profondo. Il maltrattatore/carnefice e la vittima sono due facce della stessa medaglia perchè entrambi, da piccoli, hanno sofferto, ma il modo di manifestare questa sofferenza è diverso:
per il carnefice prevale la volontà di esercitare il potere sull’altro, il potere che non ha potuto esercitare da piccolo, e lo fa per evitare ancora di soffrire; non vuole più sentirsi debole; lo fa con chi ama e chi è più fragile di lui;
per la vittima prevale la volontà di compiacere l’altro per sentirsi accettata e ricevere il bene e non il male. Cerca di fare tutto alla perfezione e se non fa così, ritiene giusto “essere rimproverata”.

La vittima è irrisolta, non ha appreso mai la difesa di sé; ha imparato a soffrire in silenzio, a nascondersi, ad avere vergogna. La vittima al contrario ha appreso l’impotenza: pur potendo respingere la violenza, chiedere aiuto, agire, fuggire, non lo fa. Questo immobilismo è interpretato come consenso. La persona abusata per paradosso rimane traumatizzata dalla vergogna, mentre chi abusa spesso non prova alcun rimorso.

A livello culturale, a mio avviso, questo paradosso ha effetti degni di nota:
– la proliferazione dei luoghi comuni che mirano a incolpare la vittima a partire dalla diffusa affermazione: “Te la sei cercata”;
– non c’è solidarietà di genere: sono le donne stesse a dire “Ma io al tuo posto…” “A me non potrebbe succedere”: tutte erronee valutazioni per illudersi di avere il controllo della situazione. Dette valutazioni purtroppo snaturano il rapporto di solidarietà che invece dovrebbe aiutare la vittima, facendole comprendere che non è sola, che non è giudicata e che può reagire;
– in alcuni casi si alimenta la solidarietà dell’altro genere e comunque la solidarietà con il carnefice;
– le campagne di informazione e prevenzione puntano solo a sollecitare la donna a fare qualcosa. Io condivido chi sostiene che si dovrebbe puntare con più frequenza anche ad altri obiettivi, anche ai potenziali aggressori o alla società nel suo insieme con lo scopo di non contribuire in maniera indiretta alla colpevolizzazione della vittima.”